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Mauro Scremin [26/02/2009]
Ecco una storia che narra la discesa di Tex nel mondo degli inferi, metaforicamente gli abissi infernali dell’animo umano popolati da quei mostri che Mefisto sa suscitare mettendo l’uno contro l’altro il padre al figlio, l’amico all’amico. E’ una storia avvincente, certamente, ma nello stesso tempo inquietante, orrenda. Un capolavoro forse non del tutto compreso nella sua reale grandezza, dove il male e il bene si compenetrano, dove Tex stesso subisce una feroce metamorfosi, una trasformazione che lo riduce alla stregua di una belva assetata di sangue. Vi si sente quasi l’eco dei romanzi di Stevenson ("Lo strano caso del Dottor Jekill e Mister Hyde", "L’isola del tesoro") i cui protagonisti sono attratti dal male, dal lato oscuro della personalità: un fascino al quale lo stesso Tex non sembra sottrarsi in un viaggio tenebroso all’interno di se stesso. Ripercorrendo la storia si incontrano qua e là scene di grande potenza evocativa. Basti ricordarne una: arrivato con Gentry in vista del Dente del Gigante, vicino al quale sono appese le gabbie di Carson e di Kit, Tex osserva come "più che un dente sembra un colossale dito levato al cielo in segno di minaccia". Il dito... una biblica sfida del male contro il bene.
Del resto la posta in gioco è altissima e la sua importanza sembra andare al di là delle singole vite di Carson e di suo figlio per coinvolgere un intero popolo. Non per niente, prima della partenza dei guerrieri Navajos alla volta del Grand Canyon, lo stregone Na-Muhuna interroga il Grande Spirito ma gli auspici che ne trae sono pessimi: ombre di morte si addensano sul popolo dei Navajos, un agnello viene sacrificato ma il suo sangue non basta a placare il Grande Spirito. Il nostro eroe li sta per precipitare in un’impresa dalla quale molti non torneranno e alto sarà il tributo di sangue che dovranno versare. Comunque, tra un episodio e l’altro, la spietatezza di Tex non conosce limiti: a un certo punto affronta due guerrieri Hualpai, ne ammazza uno a mani nude, minaccia di torturare il secondo, che però non si lascia intimidire, e per tutta risposta lo scaraventa giù dal precipizio, naturalmente senza volerlo, ma ammettendo a se stesso che in ogni caso è la fine che si è meritato. Momento notevole: la nera disperazione degli Hualpai soggiogati dal mago che, nell’inutile tentativo di catturare Tex e Gentry, ad un certo punto esclamano: "Per gli dei! Se il Figlio del Fuoco non avesse ordinato di catturarli vivi...". Ma la parola del Figlio del Fuoco è legge. E il peggio deve ancora arrivare.
In vista del villaggio Hualpai il parossismo delle fasi finali della battaglia tocca apici di estrema ferocia. Il villaggio viene messo a ferro e fuoco dai Navajos, nugoli di frecce incendiarie lo riducono a un cumulo di tizzoni fumanti. "Ripulitemi questo nido di serpi!", urla Tex ai suoi guerrieri quando si scatena l’ultimo spietato massacro nel quale gli Hualpai, costretti a difendersi a mani nude, vanno incontro all’inevitabile sterminio (ma donne e bambini saranno stati risparmiati?). Alla fine i loro corpi, lasciati insepolti, diverranno preda degli avvoltoi.
Accompagnando in seguito il suo amico sul luogo dell’ecatombe alla disperata ricerca degli altri due, lo stesso Tiger non potrà fare a meno di osservare con raccapriccio come la pista fosse "tutta segnata da scheletri", il che provocherà da parte di Tex un’esclamazione quasi di fastidio: "Hai forse paura dei morti, Tiger?". Ormai il covo di Mefisto è ridotto a un cumulo di macerie e i due amici si aggirano tra i resti umani sparsi qua e là e le statue demoniache ridotte in frantumi. Ma improvvisamente le tenebre sono squarciate da un’apparizione luminosa: è Mefisto che, proiettando la sua immagine, rivela al ranger che Carson e suo figlio Kit sono ancora vivi ma nelle sue mani. Tex reagisce rabbiosamente alle provocazioni del mago, lo maledice, lo minaccia, ma è tutto inutile. Alla fine l’immagine si dissolve lasciando i due amici "in compagnia delle tenebre della notte”. Ma è proprio quando ha toccato il fondo oscuro della disperazione, di fronte alla presunta tomba di suo figlio e del suo più caro amico, che il nostro eroe rivede la luce.
("La gola della morte" e "Il ponte tragico", nn. 39-40)