Sei in: Home page > La leggenda > GLI SCIACALLI DEL KANSAS

La leggenda

Mauro Scremin [05/04/2009]

GLI SCIACALLI DEL KANSAS

Carne da macello

“Te lo do io, adesso, il Nord e il Sud”. Il cinismo di Boulder, il padrone del Kansas Emporium, provoca una furiosa reazione a suon di pugni da parte del nostro Tex. Di fronte a certe facce losche non c’è nemmeno bisogno di avere le prove della colpevolezza, in un modo o nell’altro le prove verranno fuori dopo. La guerra civile da poco scoppiata ha suscitato i peggiori istinti tra coloro che vogliono approfittare del caos in cui è caduta la nazione. Le terre di frontiera sono abbandonate a se stesse e quelli che fuggono dagli orrori del conflitto per cercare fortuna all’Ovest rischiano di andare incontro ad un destino altrettanto atroce. E’ l’ora dei macellai! Di fronte all’orrendo scenario che si sta aprendo, il nostro eroe assume una posizione che è un vero e proprio manifesto del Tex-pensiero. “Per chi combatteremo noi?”, chiede Kit a suo padre. “Per i deboli e gli oppressi”, risponde Tex prontamente. La guerra è una sporca faccenda da politicanti, è il frutto delle volgari macchinazioni di qualcuno interessato a far scoppiare il conflitto al fine di ricavarne egoistici vantaggi. All’Est hanno ormai cominciato a scannarsi ma almeno bisogna tentare di arginare l’altra terribile ondata di massacri che rischia di travolgere l’Ovest. E non si deve pensare per questo che Tex sia un pacifista. Come non ricordare lo slancio eroico che lo distinse nella guerra contro il Messico combattendo sulle barricate di Santa Fè e sugli spalti di Forte Wellington (Fuorilegge, n. 3)? In realtà egli non è contro la guerra in sé: avvezzo com’è alla violenza, Tex è un combattente nato. Al contrario egli rifiuta la guerra fratricida che lacera il tessuto della nazione e porta con sé “cento altre cose peggiori”.
Ma se c’è una guerra che val la pena di essere combattuta, è quella contro i lupi, gli sciacalli e gli avvoltoi che attendono il gregge degli emigranti. Questa è la sua guerra: una lotta senza quartiere alla razza dei rinnegati che agiscono in combutta con i “vermi rossi”, come vengono sprezzantemente definiti i Pawnees, “sudici indiani” con i quali non vanno usate mezze misure, selvaggi sanguinari che come tali non sono degni di pietà. Espressioni, queste, che suonano strane nella bocca del capo dei Navajos, che per di più, in uno dei momenti più drammatici di questa vicenda, consapevole dell’inevitabile massacro a cui vanno incontro, raccomanda a Vernon di impedire a tutti i costi che le donne dei pionieri cadano vive nelle mani degli indiani riservando a loro le ultime cartucce. E nonostante tutto la posizione di Tex nei confronti dei pellirosse non è mai mutata. “Vi sono indiani buoni e vi sono naturalmente indiani cattivi”, dichiara allo stesso Vernon in un discorso rimasto giustamente famoso. E vanno tutti trattati come nostri pari.
“Io sono un bianco - aggiunge - eppure se dovessi imbattermi in una banda di fuorilegge, sparerei su di essi senza alcuna esitazione”. L’importante è essere coerenti con se stessi: “Buono coi buoni e duro coi malvagi, qualunque sia il colore della loro pelle”. E soprattutto va impedito che l’ingiustizia e il crimine prendano il sopravvento, che gli innocenti e i deboli soccombano alla violenza dei più forti. E’ questa la vera guerra, una guerra che va combattuta anche a prezzo dell’estremo sacrificio. Tex ritiene profondamente insultante sentirsi suggerire da Vernon di mettersi in salvo abbandonando gli emigranti all’orrenda fine che li attende. Solo suo figlio Kit dovrà scampare al massacro e per questo verrà fatto fuggire con un pretesto. “Noi due abbiamo vissuto abbastanza - dice a Carson - e possiamo anche affrontare la morte combattendo contro quell’orda di demoni rossi”.
Dopo tutto, nel West, c’è sempre un carnefice che ti attende lungo la pista pronto a sbudellarti, ma quello che conta è affrontare la sorte con il cuore puro e le armi in pugno.

(“Gli sciacalli del Kansas”, “Dodge City” e “La fine di Lupo Bianco”, nn. 17-19)