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Mauro Scremin [18/06/2009]
Che cos’hanno in comune “La tempesta” di Shakespeare e “La valle della paura” di Bonelli? Qual è il filo che lega una delle più importanti opere del celebre drammaturgo inglese e quella che viene da molti considerata una delle più orrende e pericolose avventure del nostro ranger? E’ pacifico che, nella saga texiana, almeno in un’occasione Gianluigi Bonelli si sia ispirato a Shakespeare: si tratta dell’avventura conosciuta con il titolo di “Piombo caldo” (nn. 68-69) dove assistiamo alle vicissitudini di due giovani innamorati alle prese con l’odio e la rivalità che dividono le rispettive famiglie.
Naturalmente è solo un’impressione, ma un certo sapore shakespeariano si avverte anche nel presente caso. Impressione che però si rafforza se si fa il paragone tra “La valle della paura” e “Il pianeta proibito”, famoso film di fantascienza del 1956, direttamente ispirato, guarda caso, proprio alla stessa commedia shakespeariana. E se aggiungiamo che anche la figlia del Barrera si chiama Miranda, come la figlia del mago Prospero...
Ad ogni modo la vicenda del Barrera, come ogni grande dramma, fa riflettere sulle profonde pulsioni, sugli istinti nascosti della natura umana e sulla sconfitta della ragione, impotente a frenare l’erompere dei mostri dell’oscurità. Qui le domande trovano risposte che però lasciano il problema del tutto irrisolto, filosofia e religione non vengono in soccorso. Ed è proprio una domanda cruciale quella che Barrera pone al nostro eroe: "Non credete nell’al di là, señor Willer?". "In casi come questi - risponde Tex - credo soltanto a ciò che posso vedere e toccare". Parole che non lasciano adito a dubbi. Il ranger sembra decisamente professare una sorta di materialismo e di incredulità. E potremmo anche credergli se non fosse per il non trascurabile dettaglio che consiste nell’assidua frequentazione degli stregoni alla cui congrega si fregia di appartenere.
In un mondo, come quello di Tex, nel quale la natura assume sovente aspetti inquietanti e dove cose ed eventi sfuggono ad un’interpretazione razionale, il dio dei cristiani (e dei filosofi) compare di sfuggita, è quasi un’espressione idiomatica. Il paradiso stesso non ha cittadinanza in queste lande desolate, lo si ritrova in quelle poche battute che lo descrivono come un luogo popolato di alati suonatori d’arpa. Invece l’inferno c’è, eccome! Ed è quel regno nel quale, prima o poi, finiscono spediti tutti quanti, metaforicamente o meno, e dove anche Tex viene ansiosamente atteso da tutti coloro che in vita ebbero a che fare con lui. Chi non ricorda le terrificanti parole di Mefisto che dall’al di là preannuncia a Yama l’immane boato che salirebbe dal profondo degli abissi nel vedere il ranger precipitare nel buio eterno?
Ma le potenze infernali estendono le loro propaggini tentacolari anche nel nostro mondo e si manifestano, nella presente avventura, sotto le sembianze di uno scimmione dal piede forcuto (genuina immagine demoniaca), assetato di sangue umano. La tremenda vicenda del vecchio Barrera è rivelatrice di come negli abissi dell’inconscio ("il nero trono dei cieli") giacciono latenti quei mostri che eventi incontrollati sono in grado di suscitare. Taluni riti sanguinari dei popoli primitivi trovano qui una spiegazione antropologica. L’omicidio rituale sembra l’unica medicina in grado di far tacere la voce della nera dea della morte. Non a caso è la stessa Miranda, la figlia del mostro, ad ammettere che solo una mente selvaggia e primitiva come quella di Mayumba poteva giustificare e anzi approvare gli orrendi delitti di suo padre.
Nere creature infernali si aggirano nella valle della paura, le tenebre incombono, nessuna mano divina che venga in soccorso, nessun dio consolatore... solo la pietà degli uomini.
("La voce misteriosa" e "Il sicario", nn. 45-46)