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La leggenda

Mauro Scremin [11/08/2012]

AVVENTURA SUL RIO GRANDE

A caccia di guai

“El Paso! Città di frontiera… pullulante di saloon, frequentati da uomini d’ogni risma! Avventurieri, cow-boys in cerca di distrazioni, contrabbandieri e fuori-legge!”. Richiamo irresistibile per il nostro Tex che in un simile ambiente si trova perfettamente a proprio agio. Le sue scorribande a El Paso sono rimaste giustamente celebri, a cominciare dagli scontri furibondi con gli uomini di El Diablo, per non parlare poi dei duelli cercati con voluttuosa arroganza soprattutto quando si tratta di castigare il farabutto di turno, che si tratti di un pistolero qualsiasi in cerca di gloria, come Ken Logan, o di uno sceriffo corrotto come Wess Benis. Quella di Tex è la spavalderia del guascone e provocare lo scontro è una situazione ricorrente nelle prime leggendarie avventure. Tuttavia la mano censoria è intervenuta più volte pensando bene di mascherare certi passaggi ritenuti poco consoni a un eroe positivo. Invece nelle strisce originali leggiamo di un Tex che, pistole spianate e incurante di avere tre avversari di fronte, sfida apertamente “Wess Benis e i suoi bastardi” pregustando il momento di fare giustizia. Un Tex che, non contento di aver prima apostrofato lo stesso sceriffo con cruda ferocia (“Chiudi quella boccaccia Wess, e risparmia il fiato. Ne avrai bisogno fra poco per dire la tua ultima bestemmia…”), in un clima di crescente tensione lancia la sua provocazione che suona come un esplicito invito a battersi: “Dicono che sei un buon tiratore, eh Wess?”. Sfida che viene raccolta da un furibondo sceriffo suscitando nel nostro eroe un’esclamazione soddisfatta: “Bene… Indietreggiate tutti e tre contro quella parete. Io a mia volta andrò a mettermi contro la parete opposta…”. Dopo di che è solo questione di secondi: “colpito in piena fronte” lo sceriffo sarà il primo a mordere la polvere e alla fine tre corpi ingombreranno il pavimento del saloon in attesa del “becchino del paese”.
Grosso modo assistiamo al ripetersi dello stesso schema narrativo anche in quest’ultima “Avventura sul Rio Grande” dove il nostro Tex, appena giunto a El Paso col fido Tiger Jack, lancia subito la sfida a Sam Lacy, losco barman reo di aver brutalmente picchiato una cameriera messicana dopo averla cacciata in malo modo con corredo di insulti sprezzanti (“Accidenti alla tua sporca razza”). Una “bavosa carogna” Sam Lacy che riceverà quel che si merita a suon di pugni prima e di pallottole poi. Ma è piuttosto sul fatale faccia a faccia con lo sceriffo Amos Balder all’interno delle prigioni di El Paso che val la pena di soffermarsi poiché si tratta di un passaggio narrativo pesantemente ritoccato. Come noto, nelle convulse fasi della liberazione del nostro eroe dalla cella nella quale attendeva una sicura condanna al capestro, ecco sopraggiungere lo sceriffo in compagnia del giudice Cronin e di Don Cesare Ibanez. Presi alla sprovvista, i tre malcapitati vengono messi spalle al muro da Tex il quale, pistola alla mano, non si fa sfuggire l’occasione di regolare i conti una volta per tutte con lo sceriffo Balder. “Tiger! – ordina allora al suo pard – Tieni d’occhio l’amico messicano e quel beccamorto di giudice… E voi sceriffo… mano alla pistola!”. “Cosa… – balbetta il poveraccio – Cosa volete fare?”. La risposta arriva fredda come il ghiaccio: “Darvi il tempo di fare tre passi indietro e di mettere mano alla pistola!”. Preso dal terrore lo sceriffo accampa ridicole scuse ma Tex lo incalza spietato: “Se foste veramente uno sceriffo… uno sceriffo onesto… non vi trovereste a dover fronteggiare la mia pistola… In ogni caso fate il vostro dovere di uomo, se non siete un lurido vigliacco!”. Allora, accecato dalla rabbia, Amos Balder estrae la sua colt, due spari echeggiano quasi simultanei “e lo sceriffo, dopo aver barcollato per qualche secondo, cade di schianto”. Allibito dalla scena a cui ha assistito, il giudice Cronin accusa Tex di assassinio ma la replica del nostro è dura quanto beffarda: “Questa è pura e semplice giustizia, mio bel muso da beccamorto!”.
Ecco quel che conta sopra tutto: la giustizia! Anche quando la lotta sembra disperata e soverchiante il numero degli avversari. Anche quando si è soli contro tutti. E’ per questo che Tex a un certo punto abbandonerà il sicuro rifugio tra le montagne e calerà di nuovo a El Paso per dare la sua “parte di inferno” a quel Sam Winter che stava per essere acclamato nuovo sceriffo dalla cittadinanza, che per il nostro eroe non è altro che una folla di ciechi e sordi, semplicioni che si lasciano manovrare dai corrotti o, nell’ipotesi peggiore, complici dei tagliagole che comandano sulla città. Di una simile marmaglia Tex non sa che farsene, è sufficiente se ne stiano buoni e non gli attraversino la strada “poiché – avverte minaccioso – quant’è vero che mi chiamo Tex Willer, vi ridurrò a cibo da vermi!”
Nel finale concitato, tra una imprecazione e l’altra contro gli uomini di Ibanez che non gli danno tregua (“puzzolentissimi vermi”, “branco di maledette carogne”, “cani bastardi”), Tex si rende conto che questa volta può lasciarci la pelle. Del resto l’amico Tom Brady l’aveva avvertito che tornare in città sarebbe stata una pazzia. Ma per Tex c’è qualcosa che conta di più di un rischio calcolato ed è l’affermazione di un principio, un imperativo morale. E allora ordina a Tiger e Brady di partire in cerca di soccorsi, a ripulire El Paso dal marcio ci penserà lui: “Il resto vedrete che verrà da sé”. Inshallah.

(“L’ultima battaglia”, n. 9)