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Francesco Bosco [29/06/2018]

Nato per uccidere

Anch’io a 30 anni scrissi una storia di Tex.

Titolo “Sulla pista di Sedona”.

Tex sta cavalcando fra le gole selvagge del Chimney Rock quando ad un certo punto… bang… una fucilata lo ferisce ad una guancia. Chi diavolo spara al nostro? Forse un misterioso nemico di cui non vedremo mai il volto? L’istinto suggerisce a Tex di trovare subito un posto sicuro per la difesa. Ok! Altro bang, pensieri, imprecazioni, passaggi muti… bla bla bla… e inizia così lo scontro con un nemico (in divisa?) che dura dalla tarda mattinata fin quasi al tramonto e dove il tempo viene scandito da una serie di pensieri dei due. Entrano in ballo anche una poiana nera e una lucertola del deserto, simboli dell’eterna lotta tra predatore e preda. La lucertola gira attorno a Tex, lui la osserva e alla fine sarà proprio il comportamento dell’animaletto a suggerirgli il modo per venirne fuori. La poiana? Lei compie di tanto in tanto pigre volute sul riparo del cecchino ma… ad un tratto attacca l’ingegnosa lucertola.

Ora, senza andare oltre, questa storia, sceneggiata con disegnini su dei fogliacci e modificata qualche decina di volte, di texiano non ha proprio un bel niente. Anzi, posso affermare, senza tema di smentita, che è l’antitesi del Bonelli pensiero, eppure chi mi conosce sa che il sottoscritto è un bonelliano doc!

Risvolti berardiani? Nella intima relazione che si stabilisce tra il personaggio e la lucertola, forse sì, ma in fondo non affatto kenparkeriana, visto che Ken non faceva a fucilate per ore sui costoni delle montagne. Una storia “personale”, chissà, forse più retaggio di qualche reminiscenza cinematografica che altro: mi viene da pensare a Butch Cassidy & Sundance Kid, di G. Roy Hill, pellicola dove i due vengono braccati da una pattuglia della Union Pacific, senza che di questi se ne mostri mai il volto. Oppure a “Duel”, di S. Spielberg, opera nella quale il regista mai svela il volto del nemico.

“Bocciata, signor Francesco Bosco!”

“Grazie lo stesso, ho fatto del mio meglio.”

Ora, a scanso di equivoci, ho imparato che si può rimanere ortodossi anche quando la tua creatività esprime cose in completa frattura con l’amata materia prima. Che male c’è? Essere lettore è diverso che essere scrittore.

È con questo spirito che affronto le letture dei Texoni di Boselli ormai da una decina di anni a questa parte. Cioè: come i Texoni di Boselli e basta. Sicchè, anche l’ultimo suo lavoro, “I rangers di Finnegan”, me lo sono gustato senza generarmi nella testa l’ombra incombente di Bonelli. Del resto G. L. Bonelli non ha mai firmato Texoni e i discorsi sul rispetto del logo lasciano il tempo che trovano, qui come sui cartonati, dove gli autori dei testi e dei disegni si sganciano ancor più disinvoltamente dal modello originale.

Paradossalmente, potrei addirittura accusare Boselli di non rischiare abbastanza, ma poi mi rendo conto che abbiamo a che fare con una pubblicazione che ha raggiunto un equilibrio “artistico-letterario” invidiabile e che il lettore premia con quasi centomila copie di venduto ogni suo appuntamento. Il Texone è una sintesi perfetta sviluppatasi nel tempo che, a questo punto, sarebbe opportuno proporre in una periodicità più ristretta: due/tre volumi l’anno, rappresenterebbero l’ideale.

“I rangers di Finnegan” è una storia del Tex “boselliano”, che rispetta la pasta originaria, e che rientra di diritto tra quelle decisamente ottime espresse negli ultimi anni sul Texone… e di cui, credo, l’autore vada orgoglioso anche per la parte grafica affidata in questo caso a Majo (alias Mario Rossi). Le tavole di Majo mettono in evidenza uno “scontro di luci”, basato in parte anche sull’utilizzo di modelli fotografici dell’epoca, davvero interessante. Non ho l’abitudine di rimandare questo o quel disegnatore ad un modello stilistico di riferimento: Majo è Majo, come Andreucci è Andreucci, ecc…, e ognuno di questi si misura sempre e solo con se stesso. Si può parlare, dunque, di una pubblicazione che ha un suo mondo di libertà in tutti i sensi e che dovremmo tentare di leggere senza la fotocopia del Tex di G. L. Bonelli in controluce. Poi, indipendentemente da come la si pensi, bisognerebbe mettere la collana dei Texoni in cima alle classifiche di tutta la produzione a fumetti italiana, e questo a prescindere da loghi ed ortodossie varie.

Boselli non è affatto un narratore facile da seguire, lo sappiamo, le sue sceneggiature sono sempre ricche di trovate, così mentre nelle storie del mensile non è insolito ritornare al numero precedente per rimettere a fuoco alcuni passaggi, sui cartonati e sul Texone questo “contrattempo” non esiste, anzi diventa il vero “motivo catturante” per il lettore.

In conclusione, ottimo lavoro, che rientra pienamente nei miei gusti di texiano doc. Insomma, un Tex di tradizione, visto dallo stile di uno che maneggia il Ranger da qualche decennio.