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Francesco Bosco [31/12/2020]

Il west di D’Antonio

Se non è D’Antonio, ci somiglia molto. E se non fosse lui, non saprei dire chi è questo mostro di bravura.

Ok, a prescindere da chi sia (ma è lui), Gino è uno di quelli che ho amato di più, un disegnatore formidabile, carico di intensità, dinamismo e spontaneità. Lo scoprii con "Il Ponte", sulla Collana Rodeo, mi innamorai di come disegnava i cavalli, le donne, i paesaggi e tutta la frontiera. Al tempo già leggevo Tex, leggevo Gian Luigi Bonelli, uno che ti scorre sotto gli occhi e nella mente come un torrente che fluidifica verso valle, così D’Antonio, scrittore oltre che fumettista, mi era invece un po’ più ostico da leggere. Confesso che la sua Storia del West mi prese solo a tratti, ma solo perchè non amo il fumetto storico, sono nato con i seriali d’avventure, di fantasia, quello dove tutto si inventa e dove tu sei parte attiva come sognatore, ho infatti sempre considerato il fumetto come un’arte che ti deve far evadere, sognare, fantasticare... non una cosa educativa o didattica. Non ho bisogno di comprare un albo di fumetto per sapere da qualcuno cosa veramente successe nella frontiera americana di fine ottocento, mi prendo uno, cinque, venti libri di quelli giusti e ho risolto il problema didattico. Eppure sono riuscito a farmi piacere l’opera di D’Antonio, soprattutto nel suo ultimo periodo: dalla seconda metà degli anni ’70 sino alla fine... della pista.

Ma il primo "Storia del West" non fu quello di D’Antonio ma di Renzo Calegari: altra tremenda botta d’amore... cos’era il Duello o L’ultimo duello (vinto a piastre), un titolo compartecipato nella seconda mi pare da Erminio Ardigò. Che roba quei chiaroscuri di Renzo. Facevo le classifiche un paio di volte l’anno (le mandavo anche a Sergio Bonelli, che me le chiedeva) e D’Antonio e Calegari erano sempre ai primi posti. Ma vabbé ai primi posti c’erano sempre i soliti: con Renzo e Gino, Ticci, Milazzo, Galleppini, Tacconi, Ferri... ma quando ci infilai gli internazionali al primo posto della classifica mise le tende un certo Alex Raymond, che non volle più toglierle. Già, gli internazionali, lotta dura con gli italiani quando arrivarono prima Kubert e poi Buscema, Williamson, Krenkel e perfino De La Fuente, uno a cui hanno rotto le palle sul Tex ma che aveva una potenza grafica impressionante. Che noia questa storia dei talenti presi a pallonate su Tex: Diso, talento naturale, non garba, però poi garba Font, garba Breccia. Boh, un mistero ‘sto lettore dei nostri giorni. 

A me non sono mai troppo piaciuti i disegnatori che impiastravano le vignette con mucchi di robe, a meno che non fossero Toppi o Battaglia, e non mi sono mai piaciuti nemmeno quelli col segno con "troppe linee da capire", alla Crepax per intenderci, avevo l’impressione di qualcuno che mascherava il suo poco saper disegnare con la scusa del “messaggio”. Due scatole ’sto messaggio nei fumetti. Gli unici, diciamo così, messaggi che ho accettato nel fumetto son stati quelli di Andrea Pazienza e Stefano Tamburini. Fine della storia.