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Mauro Scremin [19/11/2010]
Capita che anche Tex ogni tanto non ne possa più. Tutte le volte in cui il comando dei rangers ha una patata bollente per le mani, un lavoro sporco da affidare, sa sempre a chi rivolgersi. “E perché – si lamenta il nostro eroe – dobbiamo essere sempre noi a cavar le castagne dal fuoco per gli altri?”. El Morisco ribatte un po’ ingenuamente che, a differenza di altri, in queste circostanze Tex e compagni riescono sempre a cavarsela senza troppi danni. Al che il vecchio Carson reagisce non senza una nota di velata tristezza alla superficialità di un tale ragionamento: “Il giorno che ti succederà di vederci mentre facciamo il bagno in qualche fiume, scoprirai sulle nostre carcasse tante cicatrici da far venire la pelle di cappone anche a un uovo sodo!” (Gli scorridori del Rio Grande). Una constatazione amara, questa, per il lettore, che mai avrebbe immaginato che i nostri eroi potessero ogni tanto provare pietà per i loro corpi martoriati. E anche se lo sprezzo del pericolo e l’indifferenza stessa al dolore li hanno messi in grado di affrontare le prove più disumane, tuttavia nulla è stato loro risparmiato. A Tex in primo luogo che, ranger di fresca nomina, sarebbe tornato dalla sua prima missione ufficiale in quel di Silver City portando incisi sulla propria carne i gradi dell’eroismo.
Lo stesso eroismo che, senza “se” e senza “ma”, lo porta immediatamente a schierarsi dalla parte degli Stanfield, lui che aveva appena toccato le vette della gloria al fianco di Montales.
Ma a Lineville si respira l’aria delle tragedie più cupe, dove la disperazione del giudice Bess si accompagna alla ferocia del Rosso e dove anche il nostro eroe sembra cedere a quella sorta di cinismo e disincanto propri di chi non ha più niente da perdere. E di che pasta sia fatto lo dimostra ben presto abbattendo in un colpo solo i due malcapitati scagnozzi del Rosso, piombati al ranch degli Stanfield a intimidire le loro vittime, e con una tale spietatezza da sconvolgere gli stessi padroni di casa. Mentre lui invece la prende con macabra ironia irridendo agli avversari che le sue colt hanno appena freddato: “Io non li ho nemmeno toccati! – esclama divertito – La colpa è tutta loro che si sono collocati proprio davanti a un paio di pallottole che avevo sparato per vedere fin dove arrivavano…”. E a Maricopa farà sghignazzare l’amico Carson descrivendogli l’atroce e sbrigativo trattamento riservato a uno sventurato cinese che gli sbarrava la via della fuga: “Gli ho misurato la pancia dall’ombelico alla schiena con una scimitarra che tagliava come un rasoio”, racconta feroce accompagnando le parole con un eloquente gesto del braccio. E non contento concluderà il suo tremendo rapporto con la misera fine toccata all’infelice Wang-Ho, il capo del sindacato dell’oppio: “Mentre stavamo scambiando quattro chiacchiere – sorride beffardo il nostro eroe – m’è scappato di mano uno sgabello e il poverino c’è rimasto così male che è morto dal dispiacere…”.
Tex lascia sempre dietro di sé una traccia sanguinosa. Infatti tra Lineville e Maricopa va in scena una vicenda nella quale non si contano le efferatezze, a cominciare dal feroce pestaggio che Tex, a freddo, infligge al Rosso (“Voglio rendere il Rosso pazzo di rabbia... renderlo come una belva assetata di vendetta”), per non parlare delle condizioni in cui le pistole del nostro eroe riducono le mani dello sceriffo di Lineville. Raggelanti le parole del doc mentre gli medica le orrende ferite: “Se non sopravviene una cancrena, ve la cavate con due dita di meno alla destra e la sinistra un po’ indebolita”. Del resto il medico conosce Tex fin dai tempi di Calver City: Tex Willer è un desperado ed è meglio stargli alla larga. Anzi la sua fama sembra oscurare anche quella di Bill il Selvaggio (Wild Bill Hickok?), uno che si diceva “lavorasse a percentuale coi beccamorti”.
Ma a Lineville come a Maricopa, prima di aver ragione dei suoi avversari, Tex dovrà subire una serie impressionante di atroci supplizi: catturato dal Rosso e flagellato a sangue, verrà dato in pasto alle formiche e infine, legato mani e piedi, gettato in un fiume dall’alto di una rupe. Sfuggito alla morte, andrà incontro a nuovi tormenti: a Maricopa rischierà di morire dissanguato per la coltellata di un cinese che gli trapassa la spalla da parte a parte; infine, caduto nelle grinfie del sindacato dell’oppio, sarà sottoposto alla raffinata tortura delle Sette Porte. E, nonostante tutto, niente appare sufficiente a fiaccarne il morale: liberatosi con furia devastatrice dai suoi carnefici, il petto seviziato grondante di sangue, irromperà armi in pugno al Gold Mine facendo strage degli avversari e urlando allo sceriffo, giunto in soccorso, di non sprecare il fiato ad intimare il “mani in alto” ai superstiti della Banda del Drago: “Per questi vermi ci vuole piombo!”.
Ma l’eroe-fuorilegge, che neppure con le carni straziate cessa di rincorrere la sua sete di giustizia, è vittima di inaspettate debolezze. Una prima volta, di fronte alle lacrime di Dory Bess che implorano pietà nei confronti dello zio farabutto che l’ha fatta rapire, è spinto a un tale moto di indulgenza che si impegna addirittura ad “evitare un processo a suo carico” e a salvarlo dalla forca, salvo poi pentirsene. Una seconda volta, a Maricopa, alle prese con il sinistro racket dell’oppio, si lascia infinocchiare come un novellino dal finto paralitico nonostante i forti sospetti che nutriva nei suoi confronti.
E’ un Tex che, stanco di essere considerato un criminale e un assassino, è disposto a dare il sangue pur di tornare a far parte dei rangers, un Tex che è desideroso di riscattarsi, di perdonare coloro che l’hanno abbandonato e gli hanno procurato immani sofferenze, di ritrovare i vecchi amici e soprattutto di ricominciare. Ma a che prezzo? “Quanto sangue sparso!”, esclamerà a un certo punto Rosa, la meravigliosa domestica di Dory Bess, atterrita da tanta violenza, unica voce di rivolta di fronte all’orrenda tragedia che si compie davanti ai suoi occhi.
Storia dura e amara, terribile e grandiosa, di una crudezza e di una ferocia raramente toccate nelle avventure del nostro eroe. Il male, il vizio, la cupidigia, l’inganno, la sopraffazione, il sangue, la vendetta… Per nulla adatta agli innocenti e ai benpensanti. Confessiamolo: l’Apostolato della Buona Stampa aveva visto giusto!
("L’eroe del Messico" e "Satania", nn. 4-5)