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Francesco Bosco [16/08/2013]
Vi è una vecchia storia di G.L. Bonelli che presenta un colpo da maestro nel suo finale: ossia il racconto che Tex fa a Carson, mentre i due sono all’inseguimento del misterioso alieno, su quanto accaduto ad alcuni indiani di Mano Gialla che hanno assistito al fluttuare di una piccola luna tra le montagne successivamente adagiatasi in uno dei crateri della valle circostante e il cui racconto lascia increduli sia Mano Gialla che lo stesso stregone del villaggio (“La Rivolta”, n. 56). Ebbene, quel “flash back”, nemmeno tanto breve, avviene un paio di pagine prima che la storia giunga alla sua improvvisa conclusione. Tanto improvvisa da cogliere impreparati i suoi stessi protagonisti: Tex, Carson e un drappello di minatori della zona.
“Tex, tu ci capisci qualcosa?” “No!!”… è il breve dialogo tra i due ranger nella penultima vignetta della storia quando si trovano di fronte agli abiti semibruciacchiati dello strano individuo che stavano inseguendo.
“Flash back” e “finale improvviso” sono due degli elementi che ricorrono spesso nelle storie del vecchio G.L. Bonelli . Ma, se il “flash back” è mal digerito solo da una parte dei lettori, il “finale improvviso”, o altrimenti definito “finale affrettato”, non raccoglie consensi nel 90% dei casi. Perchè? Come dovrebbe essere un finale? Quante pagine dovrebbe occupare per essere degno di tal nome? Esso è figlio di una scelta, oppure è sempre la celeberrima gabbia a costringere l’autore a stare “dentro”?
Ecco allora una risposta con... relativa domanda: esiste uno scrittore tanto idiota che per far stare la sua sceneggiatura nella “gabbia” è capace di allungare il brodo là dove non ce n’è bisogno economizzando poi sul finale a discapito dell’intera lettura?
Domanda retorica che probabilmente non merita neanche risposta!
Fortunatamente, possiamo dirlo, questo color Tex non ha né un finale affrettato, cosa di cui spesso è accusato Boselli e neanche un flash back di quelli “enucleativi” tipici dell’autore.
È un album completo, Lo Sciamano Bianco, con una storia che vale la pena di leggere per la freschezza del linguaggio (per il lettering “graffiato” della Hustler) e per l’originalità del soggetto sviluppato attraverso una sceneggiatura molto sciolta e ricca di dinamiche -magari un po’ claustrofobica, ma Boselli si sa, non si risparmia quando si tratta di ambientare le sue storie in caverne, anfratti, viscere e in questo caso foreste- ben illustrata da quel grande western artist che è G. Ticci. Completo anche nella sua parte più difficile, autentica “spina” quando si parla di Tex: i colori.
Ma è, appunto, il flash back dell’albo “Lo Sciamano Bianco” a trovare un posto tra le migliori cose fatte nella saga negli ultimi venti anni: forse la migliore in assoluto… e su cui sarebbe bene meditare, visto che questo “Tex” concretamente diverso è stato accolto con deciso entusiasmo da parte di tutti. Un Tex, tanto per capirci, “aperto” dalle parole di Edith, che piuttosto vorrebbe starsene a duellare sulla Main Street del villaggio più vicino che trovarsi a quella tavola. In sostanza un Tex che dimostra di poter acquisire potenza narrativa proprio da qualche sua debolezza, sulla sfumatura, e solo sulla sfumatura, di quell’assunto nolittiano che vede l’eroe mostrarsi nudo e crudo, spesso e volentieri, di fronte agli eventi. Una sfumatura che peraltro esiste già nella narrazione di Bonelli padre e che troppo spesso i lettori dimenticano.
Usare questo tipo di approccio su una pubblicazione parallela al mensile regolare, come il color Tex, raccontare, cioè, osando, ci sembra l’unica via percorribile… e definibile “innovativa”. La ricchezza delle emozioni, come quelle portate dal flash back dello “Sciamano Bianco”, contrapposta alla grande violenza che manca da troppo tempo ormai.
Non delle pubblicazioni speciali per dar sfogo a qualche incompreso maestro internazionale o a qualche scrittore che di Tex mastica le frasi dell’armamentario, ma delle pubblicazioni (almeno una) dove commozione e tenerezza viaggino di pari passo con l’impetuosa furia mortale del Tex di un tempo.
Avanti, facciamolo, proviamo a scrivere della cittadina di Deadwood non solo con i terribili e noti gamblers ma anche con le centinaia di incomprese fallen woman.
Sergio vi perdonerà.