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Francesco Bosco [24/08/2013]

TOMBSTONE EPITAPH

Tex ha un certo aspetto, un certo modo di agire, un suo carattere e soprattutto un linguaggio che lo contraddistingue da qualsiasi altra lettura a fumetti. A Tex non devi imporre nulla perché ha una sua anima… ed anche una bella camicia gialla. E a Tex non devi né cambiare il colore della camicia né la sua anima.

Ok, Tex è uno spudorato mentitore ma anche un uomo sincero. È un istintivo ma allo stesso tempo un razionale, un generoso e un menefreghista, un gran bastardo… spesso e volentieri. Così mescolando queste apparenti disarmonie a quell’80% costituito dall’essenza del suo creatore, non si può negare che sia dura ricevere in eredità la scrittura texiana.

Tombstone Epitaph, tutto è meno che una storia col personaggio di cui si diceva poc’anzi: una lettura che non appaga né sul lato del divertimento né su quello emotivo, condita di una “preparazione” con attori per nulla affatto tagliati con l’accetta (giammai…) e di una “conclusione” dove si vive una sorta di tridimensionalità della location e di tutti i suoi protagonisti con qua e là improvvise sorprese narrative che in Tex ci stanno come il curry sul cappuccino.

E se in mezzo a tutta ‘sta giostra nessuno si accorge della cosa più banale del mondo e cioè che la lettura di Tombstone Epitaph è un vero e proprio coitus interruptus… dal duello in strada fino alla ben servita Billie… beh, allora non si può negare il diritto di tirare in ballo il vecchio e concreto Tex di un tempo, dove i bei personaggini tagliati con l’accetta, dotati al massimo di un "miserevole" paio di baffetti o di una mano con dito mozzato, facevano, senza troppi proclami narrativi, molti più danni dei “Professionisti” boselliani.

Ma, chissà, forse Tex visto nella sola formula “western” rappresenta oggi un limite: e Tombstone Epitaph è un racconto “western”, uno dei tanti che non ti fa godere per niente, con un Tex ai minimi storici e con gente che se ne va in giro a definirlo capolavoro. L’esatto opposto di quello che ci faceva provare G. L. Bonelli… o lo stesso Boselli sul color Tex ultimo, ad esempio.

Se si chiamasse “Rio”, potrei anche spingermi a dire che è una buona storia ma non posso farlo perché si chiama Tex. E, per tutti i diavoli dell’inferno, è il Tex di “città”, ossia quello per antonomasia da coito supremo.

(… e ci scusiamo per il paragone che potrebbe offendere il pudore di qualche utente, non sia mai)