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Francesco Bosco [16/03/2015]
Nel racconto texiano difficilmente trova spazio la grande saga degli indiani d’America, anzi spesso ci si affida a personaggi inventati come Mano Gialla, Kento… o Charvez. In questa ultima storia la sensazione è che Tex debba “girare” attorno a Charvez, come è giusto che sia, ma che in definitiva ne finisca per uscirne da protagonista principale: mai e poi mai Charvez s’innalza a “figura di livello”; egli è, infatti, principalmente l’emblema del culto malevolo che aleggia sul racconto, atto a legittimare l’estenuante lotta a distanza tra lui e Tex. Un Tex che esercita le sue arti magiche con una dose di divertente irriverenza che ricorda quella del personaggio insolente e menefreghista che fu.
Tutto ciò è esaltato soprattutto nell’albo finale dove si mantengono le linee dell’avventura itinerante tipiche della scrittura di Boselli, spesso fondata sul raggiungimento di un “set” ideale per l’abbandono di un proprio modo di apparire da parte dei personaggi chiave.
A questo cliché aderisce, per certi aspetti, anche la scrittura di Gianluigi Bonelli, con la differenza che il creatore storico di Tex vi arriva senza insinuare dubbi nella testa del lettore.
Insomma, Tex è il protagonista indiscusso del racconto con Charvez e lo manifesta soprattutto in chiave psicologica quando si insinua in lui il dubbio sulla legittimità dei poteri magici dell’indiano ed assume i panni di quella che è una mossa ai limiti del geniale di Boselli: naturalmente intendiamo i panni del “Tex noncurante”.
Comunque, una storia che entra immediatamente nel ventre del meccanismo narrativo, senza preamboli, come raramente si era verificato nelle stesure passate del personaggio: l’incipit è una destabilizzante accelerata che non può non far ripercorrere nella mente il “Tex” mortale e scorretto dei primissimi episodi e l’uomo che sogna di sognare è un vero “colpo da maestro” da parte di Boselli. Solo la parte finale del racconto è costituita da dialoghi forse un po’ troppo ridondanti, e in qualche caso finanche “spiegazionistici”, tanto che a volte sembra di assistere ad una pièce teatrale tradotta in fumetto che ad un fumetto stesso… Ma tutto questo nulla toglie ad una delle sceneggiature più originali scritte di recente. Vero è che quelle che sembrano “ingenuità”, tipo le scene del duello ed il rinsavire di Dan, tolgono un po’ di intensità ad una sceneggiatura incalzante e coinvolgente ma è altrettanto certo che nella testa del lettore rimane un’insieme di azioni ed immagini che stanno perfettamente nel meccanismo narrativo.
Non altrettanto efficaci le discutibili stilizzazioni ad effetto di Mastantuono che sono da interpretare più come una veloce realizzazione della tavola che come una mirata ricerca grafica: troppo abbozzati volti, figure e paesaggi… troppo poco impegno sulla fisionomia di Tex, sia facciale che figurativa, e troppa caratterizzazione tendente all’idrofobo nei volti dei protagonisti (ma questo è un vezzo di Mastantuono). Lo story telling dell’autore è, si sa, tra le sue doti migliori, ma a volte si prova un leggero moto di imbarazzo di fronte a certe legnosità grafiche.