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Francesco Bosco [25/09/2016]
A differenza del Texone, quella del cartonato a colori è una pubblicazione che ha un’identità tale da non permettere disquisizioni sullo sforamento del paletto bonelliano stabilitosi nel corso dei dieci anni successivi alla nascita del personaggio Tex. Anzi, è l’ultimo dei pensieri.
È un “colpo secco”, è a colori, è “francese”, è semestrale, lo chiamano “Tex d’Autore”… e tanto basta per stordire anche il più incallito dei tradizionalisti, che riepilogherebbe il tutto in: “una comune storia western sotto il logo TEX”.
Beh, intanto la storia di Gianfranco Manfredi è scritta in dosi equilibrate tra azione e riflessione, e poi suggerisce quanto sia difficile trovare un ritmo su quarantasei pagine e non cadere sulla convenzionalità del racconto mensile. Tempi e ritmo sono le chiavi del cartonato, le sue storie devono andare giù in picchiata velocemente e in questo senso Manfredi è parso perfettamente a suo agio. Di per sé non è nemmeno una sorpresa, visto che l’autore di picchiate ne ha fatto sfoggio in maniera frammentaria anche sul regolare.
Sono tra coloro che condividono le preoccupazioni per la crisi dei soggetti, delle idee negli autori del fumetto a tutte le latitudini, ma una collana come questa dei cartonati mi pare possa infondere un po’ di fiducia nel lettore, vediamo se riesce a conquistarsela.
E se la storia è dignitosa, favorita dal fatto che siamo nella sconosciuta area del Tex pre-Bonelli e quindi ampiamente interpretabile, e la squadra dei personaggi che ne sono protagonisti tengono botta (a parte il biondino che pone la sua candidatura come “primo comprimario” del racconto ma ne esce ultimo per distacco - molto meglio Lily, la morosa del biondino, che comunque Manfredi, a mio avviso, avrebbe fatto bene a mettere nelle condizioni di proseguire una vita futura senza il “pappamolla” tra le scatole), i disegni sono “speciali”. Lui è Giulio De Vita, uno che poco mi aveva convinto su una sua copertina per un Color, ma che qui vediamo “sparare” tavole bellissime, una dietro l’altra.
La sua è un’opera visuale, colorata con eclatante bravura da Matteo Vattani, che raggiunge il cuore, ed è costituita da elementi, come quelli dell’inquadratura e dell’estetica (mai fine a se stessa), che conducono direttamente alla scuola franco-belga. Ma “Sfida nel Montana” è un’opera personale di De Vita: un’opera italiana!
Esiste, però, anche l’“arte” del curare e quindi non possiamo non citare il terzo fattore che ha portato nelle edicole questo bel volume: Mauro Boselli.
Sono tra quelli che considerano la supervisione un elemento determinante: il supporto del curatore va oltre quello schema compositivo, come probabilmente molti di noi immaginano, assume, anzi, un significato ben più complesso di quanto non si creda.
Un’ultima battuta… leggendo “Sfida” mi è arrivata spontaneamente alla mente la figura di uno che ho sempre amato, fumettisticamente parlando: Giancarlo Berardi.
Beh, poterlo “contrattualizzare” per un cartonato, mi farebbe felice.