Sei in: Home page > Autori di Tex > Mezzo secolo fa
Francesco Bosco [22/02/2021]
Era il febbraio del 1971, esattamente 50 anni fa, quando usciva l’albo di Tex n. 124 “Giubbe Rosse”, nel quale si concludeva una della più acclamate storie di Tex: “La croce tragica”, di Gianluigi Bonelli e Giovanni Ticci. È una storia che fa parte del cosiddetto “periodo d’oro” di Tex che molti identificano nella fascia che va più o meno dal n. 101 fino a circa al n. 199. Che dire? Sicuramente si tratta del periodo in cui il successo di vendite della testata raggiunge i picchi più alti (600mila copie per l’inedito più le quasi 200mila della ristampa Tre Stelle), ma da qui a definirlo il periodo in cui escono le storie più belle ce ne corre. Non vorremmo dimenticare “La valle della paura”, “Il tranello”, Sangue navajo”, “Le terre dell’abisso”, “Il grande re”, “El Rey”, “Sinistri presagi”, “La gola della morte”, “Gli sciacalli del Kansas”, “La rivolta degli Apaches”, “La città d’oro”, “Dramma al circo”, ecc… tra quelle più cariche di leggenda, o “Il Coyote Nero”, “Avventura sul Rio Grande”, “L’uomo dalle quattro dita”, “Yuma”, “Incidente a Fullertown”, “La caccia”, “Il sicario”, ecc… tra le ante 100 caratterizzate da quel pizzico di insolenza narrativa tanto cara a Bonelli, fino a “Tucson”, “Il clan dei cubani”, “Gli eroi di Devil Pass” e molte altre post 200. Detto ciò, non si può negare che il cosiddetto “periodo d’oro” sia certamente contrassegnato dalla straordinaria continuità di storie dalla elevata e inequivocabile fattura se solo pensiamo a Bonelli e soci quando infilano, una dietro l’altra, “El Morisco”, “Il giuramento”, “Gilas”, “Massacro”, “Chinatown”, “Sulle piste del nord” e “Il figlio di mefisto” ed ancora “La cella della morte” e “Terra promessa”… o capolavori come “Diablero” chiusa tra la buonissima “Conestoga” e la non indimenticabile “Il ritorno di Montales”.
Ad ogni modo, “La croce tragica”, più comunemente conosciuta come “Sulle piste del nord”, pur non essendo una delle storie preferite da Gianluigi Bonelli, è senz’altro la “Dark side of the moon” dei Pink Floyd, disco che è una sorta di fiore all’occhiello della band inglese.
Fu la prima storia di Tex che lessi, non sapevo chi fosse Galep e su questo Tex avevo l’impressione di una roba per grandi non certo per ragazzini come me. Di Ticci avevo visto la firma sulle tavole, mi entusiasmavano i paesaggi nordici, il treno alla stazione di Winnipeg, il pontile di Lacoste, le pinete secolari, ma anche i caseggiati cittadini e gli interni degli uffici. Da quel giorno divenne il mio disegnatore preferito ed è curioso che nel mondo texiano io venga definito da sempre un inguaribile e fissato galleppiniano. Ho amato Galep e Letteri moltissimo, ma Ticci è colui che più mi ha colpito. Lo incontrai di persona quando “Sulle piste del nord” aveva ormai più di venti anni e ricordo perfettamente che mentre ero in macchina e mi stavo recando a casa sua pensavo a come parlargli delle emozioni che mi avevano suscitato da ragazzino i disegni di quella storia. Ahimè, un buco nell’acqua: a Giovanni non piaceva parlare delle sue vecchie cose, figuriamoci guardarle. Fortuna volle che capitai quando stava disegnando “Il pueblo perduto” (una storia che pochi sanno essere destinata originariamente alla serie regolare) e sui ripiani della sua libreria giacevano alcune straordinarie tavole di “Furia rossa”, cosicché l’iniziale amarezza si trasformò presto in rinnovato entusiasmo. Nonostante ciò, riuscimmo a parlare lo stesso di “Sulle piste del nord”, della evidente influenza giolittiana che traspare nella parte iniziale della storia, degli aiuti di Bignotti nelle tavole finali e della bellezza dei dialoghi scritti da Gianluigi Bonelli.
Insomma, ognuno di noi è stato inevitabilmente forgiato dalla prima lettura texiana. Nel 1971, quando iniziai a leggerlo, erano già usciti più di centoventi albi, poteva capitarmi Raschitelli o poteva capitarmi quella storia fatta con i montaggi redazionali (“Avventura a Cedar Mines”) e non so se sarebbe cambiato qualcosa. Davvero non lo so dire… ma forse sì, qualcosa sarebbe cambiato, perché per me i disegni sono metà dell’opera.