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Francesco Bosco [14/12/2023]
Dagli archivi di Casa Bonelli, un gioiello perduto e ritrovato! Una storia ideata dal creatore di Tex, Gianluigi Bonelli, e illustrata dal grande disegnatore Sergio Tarquinio, per anni rimasta misteriosamente celata nell’ombra, viene per la prima volta pubblicata in volume. Un imperdibile "pezzo da collezione" che porta con sé il sapore e le atmosfere del più autentico fumetto bonelliano, vede la luce in un’edizione imprescindibile per ogni appassionato di Tex. Il tutto è impreziosito dalla riproduzione integrale della sceneggiatura originale, con bozzetti e appunti autografi di Gianluigi Bonelli. (Lancio di presentazione SBE). E così, andando in libreria per guardare questo “Ombre di morte”, la prima domanda che mi sono posto è stata: ma perché Sergio Bonelli fece disegnare a Tarquinio tutte quelle tavole e poi abortì il progetto? Non ne bastavano solo un paio per capire? Devo dire che, almeno per quanto mi riguarda, l’abbiamo scampata bella: Tarquinio è lontano da Tex quanto Fantozzi dalla corazzata Potëmkin. Non me ne voglia l’autore, ma, se la cosa lo può onorare, “essere lontani da Tex” è una definizione che avrei usato anche per Hugo Pratt, Ferdinando Tacconi o Rino Albertarelli. Però, nel suo caso, tavole prive di anima, scenari piatti, personaggi legnosi, privi di magia e al limite del grottesco, insomma uno stile davvero inadeguato per la serie di Tex.
Ma vediamo qualche dichiarazione scaricata dalla rete…
Nel 1961, Sergio Bonelli, l’inventore di Tex, chiama Tarquinio. “Mi propose di fare delle tavole tentando di uniformarmi allo stile di Galleppini (Arturo, a lungo unico disegnatore di Tex, ndr). Accetto, mi metto all’opera, in un mese e mezzo finisco. Non e’ stato difficile. Ricordo che in quei giorni il mio amico Persico mi chiese di accompagnarlo a Milano perché voleva strappare il permesso di apporre Tex sui suoi calendari. Tantissime aziende puntavano ad avere quel marchio, i produttori di giocattoli, persino una fabbrica di saponette. Giovanni Bonelli, il padre di quel genialoide di Sergio, ci ricevette e mi domandò come stava andando il mio Tex, che doveva essere nelle intenzioni, ma solo nelle intenzioni, il primo numero di una serie di album cartonati. Dicevano che ero troppo bravo, mi chiamavano ’maestro di cavalli’. Ma io non volevo imitare un altro. Andammo a pranzo in una pizzeria e non ne parlammo più”.
Qui, da un volume di Allagalla uscito prima della scoperta delle tavole di Tarquinio: “Nel 1961 mi contatta Bonelli per Tex e mi dice… guarda cosa fa Galleppini… prova a fare qualcosa un poco simile. Io va beh, tento e faccio tre tavole. Gliele porto in studio. Bonelli le mette sulla scrivania, una di fianco all’altra. Le guarda, poi guarda me e mi dice… Non ci siamo, Sergio. Lui aveva una paura matta che immettendo un disegnatore nuovo, con un tratto troppo diverso da Galleppini, la tiratura calasse. Era una specie di panico, quello che lo prendeva. Io l’ho guardato e gli ho detto… Sergio, guarda, io meno di così non posso fare. Perché per me imitare era come tornare indietro. Nessuno di noi, da Muzzi a Corteggi a D’Antonio apprezzava Galleppini. Ci sembrava avesse uno stile vecchio, che riportasse indietro il West… nei primi anni disegnava le pistole come un cilindro con un tubo infilato dentro! Il segno di Galleppini era comprensibile a tutti: sempre le stesse facce, sempre gli stessi movimenti… io volevo, già allora, avvicinarmi al West della realtà. È stato il tratto troppo moderno e l’accuratezza delle tavole a spaventare Bonelli. I dettagli delle selle, delle armi, i cavalli, i costumi…”
Intanto, secondo queste dichiarazioni, Tarquinio avrebbe disegnato le tavole (3) di Tex nel 1961 (1961 o 1965, come scrivono alla Bonelli?). Poi dice che di meno non poteva fare… e fa intendere che non si era abbassato ai livelli Galleppini. Egregio fuoriclasse di selle, cavalli e costumi, a noi va bene esserci accontentati di Galep, ci faceva divertire con le sue pistole a cilindro e se proprio dovevamo sapere come era fatta una Colt ci compravamo un libro sulle armi, non un fumetto. Altra cosa che non mi quadra è quando dice che Muzzi, Corteggi e D’Antonio non apprezzavano Galleppini. Beh, intanto, pistolette a parte, se fosse dipeso da questi tre e dalla loro prolificità, il Tex sarebbe morto editorialmente dopo poche settimane: dei tre, al limite solo D’Antonio aveva “diritto di critica”, perché non mi pare che gli altri due fossero superiori a Galep, anzi ne erano lontani anni luce. Poi, è strana questa cosa: a me Muzzi di Galleppini parlò benissimo. Muzzi, per sua stessa ammissione, nascondeva spesso le Colt dietro il fumo della polvere da sparo. Corteggi? Corteggi francamente era un disegnatore di fumetti appena dignitoso.
Non so, di Tarquinio e la sua arte ho sentito giudizi che condivido, ossia che le sue pistole, le sue selle, eccetera, sono valide, ma i suoi personaggi sono legnosi, statici, con dei capoccioni abnormi, quasi più abnormi di quelli di Corteggi. Ricordandomi di certe dichiarazioni e, in aggiunta al fatto che io della “Storia del West” riuscii addirittura ad apprezzare più Bermejo che Tarquinio, ho sfogliato in libreria il volume “Ombre di morte”, ho scattato un paio di foto alla sceneggiatura di GL, e alla fine l’ho lasciato li: come aveva prefigurato quel genialoide di Bonelli… non ci siamo, Sergio!
Ah, per scrupolo sono andato a rivedermi le video-interviste che trent’anni fa girai a casa di Galleppini: ebbene, non una parola fuori posto su ognuno dei suoi colleghi, nemmeno quando mi raccontò di un alterco piuttosto acceso avuto con Hugo Pratt nei primi anni ’70.
In quasi cinquanta anni che frequento il mondo dei fumetti, l’unico big che ha speso belle parole per Aurelio Galleppini, il più popolano disegnatore del fumetto popolare, è stato Roberto Raviola, il resto dei fenomeni… beh, lasciamo stare.
N.B. nell’immagine a corredo, assieme alla copertina del volume, la sceneggiatura di G. Bonelli fatta con ritagli di vignette del Tex di Galep